Che meraviglia!
Che meraviglia!
Negli ultimi anni capitava una cosa diversa da quella che era sempre successa: quando tornavamo dalla casa al mare insieme alla nonna, guidavo io.
È così che va la vita: fino a un certo punto si prendono cura di te accompagnandoti in un posto o nell’alto, da un certo punto in poi lo fanno regalandoti la loro presenza.
Accadeva che la riaccompagnassi a casa, verso sera, quando magari non era ancora stagione di fermarsi in villeggiatura. Ci mangiavamo la strada così: io al volante, lei di fianco. Come le persone anziane – e come talvolta a me capita già di fare – si teneva alla maniglia sopra la portiera. Io la prendevo in giro: “Belina come t’ei vecia, nona“.
Lei mi ammoniva: “Mia ninin…” e lasciava la frase in sospeso.
Venivamo da una casa che era la casa del suo cuore, costruita da suo padre tra le prime case presenti in quel piccolo paese di villeggiatura che guarda le Apuane e tiene i piedi nel Magra. Era la sua passione, il punto debole nell’anima, nei ricordi e nei pensieri.
Quando lasciavamo la casa per tornare verso la città aveva sempre un aneddoto sui tempi andati. Erano parole di borotalco, ci vedevi il bianco e nero e i costumi fin sotto le ascelle. Spesso – in quei racconti – faceva capolino mio nonno, che invece non ho mai avuto il piacere di portare in macchina come passeggero.
C’era un punto, però, in cui taceva sempre.Dopo aver affrontato la salita e le curve del Guercio, oltrepassata la rotatoria e imboccata la galleria, mia nonna taceva.
Come una frustata, infatti, nel ritorno della luce si disegnava il Golfo.Lei sospirava e due volte su tre esclamava: “Ma che meraviglia!”.
Mi accade sempre lo stesso.
In quell’attimo, io mi perdo.